Il 27 Gennaio è il Giorno della Memoria. Memoria del crimine più inumano che l’essere umano ha perpetrato nella sua storia: annientare l’altro perché di una razza diversa e perciò inferiore. Questo assunto, figlio della follia eugenetica della fine dell’800 ha pervaso l’Occidente dagli Stati Uniti alla Svizzera (con sterilizzazione forzata e sottrazione dei figli fino agli anni 70 del 900). Ha trovato nei regimi fascista e nazista non solo i teorici, ma soprattutto gli esecutori dello sterminio pianificato che doveva portare alla purificazione della “razza superiore” attraverso l’eliminazione dei popoli portatori dell’infezione, l’ebreo e lo “zingaro”.
In Germania il processo di eliminazione iniziò subito dopo la presa del potere da parte di Hitler, il 31 Gennaio del 1933. La storia delle persecuzione degli ebrei è nota: dall’Aprile del 1933 con l’esclusione dalle libere professioni, alla Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedeschi del 1935 che proibiva ogni contaminazione di sangue tra ebrei e tedeschi, all’esclusione dall’esercito, dai pubblici uffici, dalla scuola, dallo sport alla “soluzione finale”. Meno noto è il fatto che il percorso di delegittimazione sociale e civile fino allo sterminio scientifico procedette di pari passo per ebrei e rom.
Già nel 1933 l’Ufficio per la razza e l’igiene razziale di Berlino richiedeva per “zingari e zingari di sangue misto” che si procedesse regolarmente alla sterilizzazione. Il 3 Gennaio 1936 il ministro dell’Interno, Frick, in una comunicazione riservata sull’applicazione delle leggi di Norimberga, approvate nel Settembre del 1935, inviata a governi dei Länder, uffici di stato civile, autorità di vigilanza e uffici sanitari del Reich, specificava: “In Europa sono di sangue estraneo alla razza oltre agli ebrei solo gli zingari”.
L’8 Dicembre del 1938 sempre Himmler emanava il “decreto fondamentale” per “la soluzione radicale della questione zingara”. Erano quindi compiuti gli atti formali, con valore anche giuridico, che preparavano il genocidio di tutto il popolo romanì unendo indissolubilmente in tutto il territorio controllato da nazisti e fascisti il loro destino a quello dell’altro popolo destinato al genocidio, il popolo ebreo.
In Italia il regime fascista, dopo l’approvazione delle leggi razziali del 10 Novembre 1938, emanava l’11 Settembre 1940 una circolare che disponeva su tutto il territorio italiano l’internamento di rom e sinti in campi dedicati esclusivamente a loro per essere poi avviati nei campi di sterminio. Venivano così internati sia i rom e i sinti italiani, sia i rom che tentavano di fuggire alla ferocia degli ustascia croati. Sono ben poche le famiglie di rom e sinti italiani che non hanno un genitore o un parente che non abbia subito l’infamia dei campi di concentramento.
Il 27 Gennaio del 1945 l’Armata Rossa quando entrò ad Auschwitz–Birkenau trovò solo 4 “zingari” gli altri erano stati tutti eliminati con la liquidazione dello “Zigeunerlager”, il “Lager degli zingari”, nella notte tra il 2 e il 3 Agosto dell’anno prima. Lo sterminio degli ultimi 5000 “zingari” venne respinta una prima volta il 16 Maggio del ’44 per la resistenza opposta dagli abitanti dello Zigeunerlager. Le SS procedettero allora prima all’evacuazione di donne e uomini ancora validi e perciò sfruttabili per il lavoro forzato, poi uccidendo in una sola notte gli oltre 3000 vecchi donne e bambini rimasti.
Lager nazisti e campi di internamento fascisti unirono quindi il popolo ebreo e il popolo romanì allo stesso destino: il genocidio. Purtuttavia questa tragica fratellanza oggi non fa parte della coscienza collettiva e nel dopoguerra i due destini si sono divisi. Solo nel 1979 la Repubblica federale tedesca ha riconosciuto formalmente l’origine razziale del genocidio rom, risarcendo le vittime sopravvissute e onorando la memoria dell’olocausto del popolo romanì, con un monumento davanti al Parlamento tedesco e sostenendo il Centro di ricerca e documentazione dei Sinti e dei Rom.
Un simile riconoscimento in Italia non è ancora avvenuto, la memoria del genocidio del popolo romanì è discrezionale, spesso ai margini nelle commemorazioni istituzionali. Anche se negli ultimi anni lavori storici, sensibilità politica, iniziative civili hanno fatto emergere attenzione nei confronti dello sterminio di Rom e Sinti, tuttavia esso non fa parte della coscienza e del rimorso collettivi e rom e sinti, chiusa la breve parentesi del 27 Gennaio, tornano a essere la minoranza discriminata ed emarginata, buona solo per gli imprenditori della paura e del razzismo.
Nel Giorno della Memoria, nella legge che lo istituisce, nelle iniziative che devono mantenere viva la memoria di quello che non deve più accadere, lo sterminio di Rom e Sinti, non c’è. Così come è giusto ricordare a memoria e monito il destino di tutte le vittime del nazifascismo (dai portatori di handicap, agli oppositori politici, dagli omosessuali ai Testimoni di Geova, dai genericamente considerati asociali ai criminali comuni), nello stesso modo devono avere dignità di riconoscimento, memoria e monito entrambi gli stermini su base razziale il cui obiettivo era eliminare un popolo intero, l’ebreo e il romanì.
L’inserimento del Porrajmos nella legge che istituisce il Giorno della Memoria non è solo un atto dovuto a riconoscimento di un destino che affratella rom, sinti ed ebrei nell’immane tragedia, ma è anche, e di questi tempi in particolare, un forte strumento di contrasto a una discriminazione che neanche l’olocausto ha saputo cancellare, lasciando questo popolo ai margini delle vita sociale e civile. Una discriminazione, alimentata da antichi pregiudizi e recenti strumentalizzazioni che in quel mancato riconoscimento può trovare se non alimento una qualche giustificazione.
La legge che ha istituito il Giorno della Memoria il 20 Luglio 2000 recita all’articolo 1:
«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 Gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».
Certo il legislatore non ha volutamente dimenticato tutte le vittime dei Lager del nazifascismo, ma oggi, a 20 anni dall’approvazione della legge il lento processo storico che ha portato a riconoscere nel Porrajmos o Samudaripen l’altro sterminio su base razziale richiede un aggiornamento della legge con una esplicita formulazione che renda onore a un popolo per il quale la giustizia e il riconoscimento della sua storia e della sua identità culturale sono un atto dovuto.
Oggi, nel mondo che cambia per la spinta di fenomeni migratori inarrestabili, per le reazioni difensive della società e della politica, antisemitismo e antiziganismo riprendono forza in Italia e in Europa con forme di aperta intolleranza. I due destini sembrano così ricongiungersi e trovare le ragioni di condividere un comune impegno di fronte all’attuale catena di pregiudizio che colpisce la comunità ebraica e relega il popolo romanì ai margini sociali e civili della società.
Il riconoscimento del genocidio di Rom e Sinti è il passo fondamentale per il riconoscimento storico-culturale della minoranza rom e sinta e condizione necessaria per l’inclusione a pieno titolo di diritti e doveri della comunità rom e sinta nella società e per porre fine a una discriminazione patita quotidianamente con l’esclusione dalla vita sociale e civile e, oggi, anche con atti di intolleranza violenta.
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