Qui in Calabria nelle comunità non ho mai sentito parlare del Porrajmos, quando provo a spiegarlo e a raccontarlo, percepisco che per le comunità riguarda altri “zingari”, ma non gli “zingari italiani “, non loro, riguarda gli stranieri. In Calabria, lo sterminio è riconducibile esclusivamente agli ebrei. Ed io conosco il Porrajmos solo grazie ai miei studi e al percorso con il movimento Kethane.
In questi ultimi anni ho riflettuto molto sul Porrajmos, adesso proverò a raccontarlo ma non dal punto di vista storico in quanto non è di mia competenza, ma da un punto di vista emozionale e forse pittoresco.
Riguardo al passato, riguardo a tutto quello che è successo al mio popolo, sento un forte odore di sangue, un freddo nel ventre, sento la rabbia degli uomini che non sono riusciti a proteggere le loro donne e i loro bambini. La disperazione delle donne, i pianti della fame dei bambini e la rassegnazione dei nonni. Ma c’è resistenza e c’è amore, nonostante la sofferenza e la morte.
Non c’è storia tra queste famiglie Rom e Sinti che non sia speciale, diversa ma comune alle altre storie.
Citando Moscovici e le rappresentazioni sociali, gli individui di una società costruiscono una propria realtà. I Rom e i Sinti con le loro storie, i loro percorsi, attraverso ancoraggi (processi che permettono l’assimilazione di stimoli nuovi) hanno creato rappresentazioni sociali interagendo con gli altri , dando poi un senso comune alla realtà. Attraverso i contenuti condivisi e le rappresentazioni sociali si è formata l’appartenenza dei Rom e dei Sinti e una forte identità sociale.
Oggi il Porrajmos è: il datore di lavoro che licenzia un ragazzo, nonostante la bravura e la puntualità sul lavoro, perché è Rom; sono i bambini rom sgomberati e lasciati per strada al freddo e al gelo; il Porrajmos per noi sono la politica, le istituzioni, che rimangono indifferenti di fronte alle nostre sofferenze.
Il Porrajmos oggi è una mamma che muore gridando aiuto e non solo non viene soccorsa, ma le viene negato di andare in ospedale per potersi curare. Le viene negato uno dei diritti fondamentali di questo Paese, il diritto alla salute, all’assistenza sanitaria, anni e anni di decreti per l’assistenza socio-sanitaria, anni e anni di progressi, studi e ricerche, per poi ridursi a tutto questo: lasciare morire una donna che urla e muore chiedendo aiuto.
Il Porrajmos sono quelle scuole e quelle maestre che non vogliono i bambini rom e sinti.
Il Porrajmos è tutti i giorni in diverse forme. Il Porrajmos non è finito, gioca a nascondino, ha cambiato faccia ma è ancora lì, forse più silenzioso!
Il Porrajmos è rimanere onesti nonostante l’ingiustizia, nonostante i diritti negati. E’ la paura di essere fraintesi, è sentirsi in colpa, è portarsi dietro tutti i mali del mondo. Il Porrajmos è vivere ogni giorno nella paura di lottare, per un tuo diritto che viene negato sistematicamente di generazione in generazione alla tua famiglia e alla tua gente. E’ lo sfruttamento continuo sul lavoro, è la strumentalizzazione e la speculazione dei vari personaggi politici.
Il Porrajmos è il non poter dire io sono Rom, io sono Sinto. E’ la vergogna, è il nascondersi perchè siamo sempre peggio degli altri e per essere accettati non basta vivere di onestà, di lavoro, di sacrifici e di rinunce.
Il Porrajmos è ogni giorno fare finta che vada tutto bene, è accontentarsi di vivere nascosti, pur di non essere attaccati e giudicati diversi.
Il Porrajmos sono le porte in faccia quando una mamma rom ha bisogno di un alloggio popolare perchè ha bambini troppo piccoli e con patologie, il Porrajmos è un padre disoccupato che si sveglia alle cinque di mattina per portare da mangiare alla propria famiglia.
Il Porrajmos è la giustizia spietata quando si tratta di Rom e Sinti .
Ma la nostra forza sono i nostri nonni, il senso di appartenenza, la famiglia, la comunità, le nostre tradizioni e i nostri valori. E’ il nostro vivere nonostante tutte le brutture e le malvagità.
Descrivendo con un’immagine il Porrajmos oggi, è una montagna da scalare, senza acqua, a mani nude con le spalle cariche di pesi, sotto un caldo infernale ma con un sole meraviglioso che ci aspetta.
(di Consuelo Hafiz Ramadam Rossi)
Nella foto: Anna, la mamma morta a Secondigliano aspettando i soccorsi.
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